Alieni nello spazio, un algoritmo cerca impulsi radio a bassa frequenza

«Sapevo che il segno era là ad aspettarmi, fermo e zitto. Ci sarei arrivato, l’avrei ritrovato e avrei potuto riprendere il filo dei miei ragionamenti». Era ossessionato da un segno lasciato nello spazio “Qwfwq”, essere millenario protagonista delle Cosmicomiche di Italo Calvino – un segno che lui stesso aveva lasciato in una galassia lontana miliardi di anni prima, e che adesso non riusciva più a ritrovare. La stessa ossessione condivisa poi dall’uomo, che da più di sessant’anni ormai fruga tra le stelle in cerca di una traccia. Con ventiquattro telescopi spaziali puntati verso ogni tipo di sorgente cosmica, 5 sonde lanciate verso il vuoto interstellare e 4.550 satelliti attivi, oggi quel segno forse riusciremmo a ritrovarlo. Ma saremmo in grado di capirlo? 
Per rispondere a questa domanda, la sera del 24 maggio la sonda ExoMars Trace Gas Orbiter dell’Agenzia Spaziale Europea è stata protagonista di un esperimento inedito: trasmettere dall’orbita di Marte un messaggio cifrato verso la Terra. Il segnale è stato prima catturato da tre radiotelescopi dislocati tra Italia e Stati Uniti e poi decodificato la notte del primo giugno. Adesso la sfida, aperta a tutti, sarà quella di capirne il significato. Per cimentarsi è sufficiente collegarsi al canale Discord del progetto “A sign in space”, opera dell’artista Daniela de Paulis che, in collaborazione con Inaf, Esa e Seti Institute, proprio dalle Cosmicomiche di Calvino ha tratto ispirazione per confezionare il messaggio «segretissimo» inviato dalla sonda, il suo “segno nello spazio”. «In questo modo – ha spiegato de Paulis – simuleremo tutta la procedura, come se ricevessimo un segnale da una civiltà intelligente».

 
LO SCENARIO

È l’inizio di uno sforzo planetario che sta coinvolgendo più di 1300 utenti in tutto il mondo, una sfida affascinante che sfuma il limite tra scienza e fantascienza. E che trasforma una performance artistica nelle prove generali di uno scenario che la comunità scientifica non ritiene più tanto improbabile. «La cifratura è un buon modo per allenarci a decodificare un potenziale linguaggio alieno», spiega Eleonora Ammannito, ricercatrice in Scienze Planetarie presso l’Agenzia Spaziale Italiana. «Immaginiamo di far incontrare due persone che parlano lingue diverse. Senza un sistema efficace di decodifica, le parole di uno risultano incomprensibili all’altro». 
Quindi in passato abbiamo ricevuto dallo spazio messaggi che non siamo stati in grado di comprendere? «È possibile. Riceviamo segnali in continuazione, da stelle, galassie, pulsar. Alcuni di questi – spiega la ricercatrice – potrebbero essere messaggi inviati da altre civiltà che non siamo stati capaci di decifrare». Nella speranza che dall’altra parte qualcuno sia in grado di capire noi, continuiamo intanto a gettare esche nello spazio, a cominciare dai segnali inviati negli anni dalle sonde della Nasa, dalla quasi cinquantenne Voyager 1 fino alla più recente New Horizons, entrambe ancora attive e in ascolto ai limiti estremi del nostro Sistema Solare. 
Un nuovo studio, presentato lo scorso 20 marzo su Publications of the Astronomical Society of the Pacific, ha stabilito che proprio grazie a quelle sonde potremmo ricevere un primo contatto già nel 2029. Orecchie puntate in special modo verso il centro della Via Lattea, dove già un anno fa il telescopio australiano Murchison Widefield Array aveva scandagliato 144 sistemi di esopianeti in cerca di una “tecnofirma”, cioè la testimonianza di una civiltà tecnologicamente avanzata. Nessuna fortuna per ora ma questo non ha scoraggiato gli scienziati, oggi più che mai convinti che proprio in quello spicchio di galassia si nasconda un tesoro di informazioni ancora tutto da scoprire. E la chiave per decifrarlo passa giocoforza dai progressi della nostra tecnologia, in particolare dallo sviluppo di algoritmi capaci di differenziare il rumore spaziale da potenziali segni di vita intelligente. Un simile algoritmo lo scorso gennaio ha portato un team di ricercatori dell’Università di Toronto a identificare otto possibili tecno-firme, scremando i dati da più di 480 ore di osservazione su 820 stelle catturate dal radiotelescopio di Green Bank, negli Stati Uniti. 

LA GALASSIA

Intanto un nuovo algoritmo (nome in codice “Blipss”) sviluppato dalla Cornell University sta già setacciando la nostra galassia in cerca di impulsi radio a bassa frequenza. Questi segnali vengono emessi naturalmente dalle pulsar, stelle implose che ruotano rapidamente, immettendo nel cosmo onde radio. Ma vengono anche usati in alcune tecnologie umane come i radar. E secondo i ricercatori rappresenterebbero una sorgente perfetta su cui sintonizzarsi in cerca di vita intelligente. Comunque vada a finire la nostra odissea, lo spazio intanto continua a rivelarsi una fonte artistica inesauribile. La Nasa, con il suo Sonification Project, sta trasformando proprio quei dati raccolti ai confini dell’universo in suoni e sinfonie, e ha recentemente pubblicato 16 performance che restituiscono agli ascoltatori interpretazioni audio della Via Lattea e non solo. 
Il progetto ha l’obiettivo di far sperimentare la bellezza del cosmo attraverso i suoni anche alle persone ipovedenti. «Si è fatto un parallelismo tra onde luminose e onde sonore», spiega Ettore Perozzi, dirigente dell’Asi. «Musiche che hanno un suono di background molto pieno, con tanti strumenti che suonano insieme, effettivamente ricordano una nebulosa con la sua massa di gas e polveri, su cui si ergono le singole stelle. È un modo affascinante per far sperimentare la galassia anche a chi non può vederla».

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