Gigafactory, l'Europa punta a fare il pieno di energia

Gigafactory, l'Europa punta a fare il pieno di energia
di Nicola Desiderio
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 16 Dicembre 2020, 15:13 - Ultimo aggiornamento: 12 Maggio, 16:32

Passa attraverso le batterie il futuro della mobilità sostenibile. Un business che nel 2025 avrà in Europa un valore di 250 miliardi di euro, ma le cui chiavi strategiche, tecnologiche e industriali sono al momento collocate verso Oriente. Giappone, Corea del Sud e soprattutto Cina sono i padroni delle celle che costituiscono gli accumulatori di tutti i dispositivi portatili dei quali oramai ci serviamo e di tutte le auto ibride ed elettriche. L’Unione Europea però vuole rimontare e dal 2017 ha messo in piedi la European Battery Alliance e l’anno successivo un piano strategico di investimenti davvero energico tanto che nel 2019 sono stati investiti 60 miliardi di euro, più del triplo di quanto fatto in Cina, e nel 2020 ci saranno altri 25 miliardi sul piatto. Si è formato un tessuto di oltre 500 tra aziende ed istituti di ricerca che porteranno alla costituzione nel 2025 di 15 gigafactory, grandi stabilimenti in grado di produrre milioni di celle e batterie che – secondo quanto dichiarato dal vice-presidente della Commissione Europea, Maroš Šefčovič – potrebbe portare il nostro Continente ad una storica indipendenza per le case automobilistiche, oggi costrette a rivolgersi alle varie CATL, LG Chem, Panasonic, Samsung e Toshiba anche per assemblare in proprio le loro batterie.

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I PROGETTI

Di questo processo sono ovviamente protagoniste le locomotive dell’Unione Europea, Germania e Francia, ma anche l’Italia sta giocando la propria un ruolo fondamentale, come riconosciuto dallo stesso Šefčovič che ha pubblicamente ringraziato il governo italiano e il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli.

Che cosa bolle nel nostro paese? Innanzitutto il Battery Hub di FCA a Mirafiori, destinata ad avere un peso anche all’interno di Stellantis quando sarà compiuta la fusione con PSA. E poi c’è la Italian Battery Alliance, una piattaforma promossa dal Mise e coordinata dall’Enea che è già presente attivamente nel piano Set (Strategic Energy Technology Plan) e in tutte le altre iniziative europee e internazionali che riguardano la catena del valore delle batterie. Tra queste c’è la European Battery Alliance supportata dalla Banca Europea di Investimenti e che rappresenta la spina dorsale dell’industria europea delle batterie per autotrazione. Un altro strumento finanziario è quello dell’Ipcei (Important Projects of Common European Interest) con il quale 7 paesi membri (Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Polonia e Svezia) hanno stanziato 3,2 miliardi di euro (570 milioni italiani) per la costruzione di una filiera di gestione completa delle batterie durante tutto il loro ciclo di vita, dall’estrazione delle materie prime fino al riutilizzo e al riciclo. L’intero progetto terminerà nel 2031 e coinvolge 17 aziende (più oltre 70 partner esterni) tra cui le italiane Endurance, Enel X, FAAM e Kaitek senza contare il gigante belga della chimica Solvay che coinvolgerà alcune delle sue strutture presenti in Italia. Enel X svilupperà entro il 2022 strumenti predittivi basati sulla tecnologia del machine learning per prevedere i guasti e il deterioramento della batterie agli ioni di litio con l’obiettivo di aumentarne la sicurezza e la durata. Per Kaitek e Endurance si parla di produttori di batterie emergenti, ma il progetto di maggior rilevanza industriale è quello della FAAM, società del gruppo Seri Industrial, che coinvolge anche la riconversione dello stabilimento ex Whirlpool di Teverola (Caserta). Qui partirà nel 2021 la produzione di batterie per 300 MWh all’anno con celle Litio-Ferro-Fosfato per utilizzi militare, navale e trasporto pubblico.

IL RICICLO

Il progetto finanziato tramite l’Ipcei (505 milioni dunque quasi il 90% del totale) riguarda invece quella che viene definita la “Gigafactory del Mediterraneo” con la realizzazione di un secondo impianto a Teverola. Qui però si parla di tecnologie avanzatissime come celle prismatiche al grafene e al silicio e di stato solido prodotte in proprio per un volume annuo di 2,5 GWh all’anno destinate espressamente all’automobile. Certo è un decimo o meno delle gigafactory di Tesla, ma il progetto prevede un’estensione di capacità e sfrutta la ricerca italiana seguendo un modello da Sylicon Valley, attinta acquisendo la Lythops, uno spin off del Politecnico di Torino. Il progetto è ancora più interessante perché riveste anche il riciclo delle batterie alla fine del ciclo di vita. In questo campo sono anche attivi il Cobat (Consorzio Obbligatorio Batterie al Piombo esauste e rifiuti piombosi) e Cnr attraverso l’Icomm (Istituto di chimica dei composti organometallici) di Firenze che hanno messo a punto un processo brevettato per recuperare il 100% di tutti i preziosi componenti delle batterie. Litio, manganese, cobalto, nickel… tutti materiali costosi, estratti in paesi e lontani e che, per essere recuperati, devono andare in Germania oppure fino in Oriente, principalmente Corea e Filippine, dove esistono impianti in grado di ricavare dalla cosiddetta Black Mass tutti gli elementi chimici. Il loro recupero consentirebbe non solo la sostenibilità etica e ambientale del business, ma anche il posizionamento di un altro fondamentale segmento della catena del valore che riguarda le batterie. Un’opportunità di sviluppo che, in un’economia sempre più circolare, elettrificata e ricaricabile, assume un valore strategico. 

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