Dal Podcast a ClubHouse, la rivoluzione social è nella voce

Il telefono. La tua voce. Se negli anni Ottanta qualcuno avesse raccontato che nel 2021 il celebre slogan lanciato dalla Sip avrebbe assunto tutt’altro senso, pur restando credibile, di sicuro nessuno ci avrebbe creduto. Eppure, una quarantina d’anni e soprattutto, una rivoluzione digitale dopo, siamo qui a chiederci se la voce degli utenti rappresenterà davvero la nuova frontiera dei social. E quindi, della socialità tutta. A voler leggere il futuro, i fondi del caffè qualcosa la dicono: da un lato l’ascesa inarrestabile dei podcast (di chi li ascolta, di chi li fa e di chi ci investe), dall’altro la corsa dei giganti della tecnologia all’emulazione del nuovo ritrovato tra i social, ClubHouse, che nella voce – in diretta – salda la sua unica modalità d’espressione. In mezzo, l’era dei messaggi vocali, che ci ha abituato a un diverso rapporto con la messaggistica istantanea, pur conservandone l’asincronia: arrivarono nel 2013 su WhastApp e Messenger e su Instagram nel 2018. Stesso anno in cui Telegram propose la funzione che consente di sentirli a velocità raddoppiata, e che ora arriverà anche su WhatsApp, per la gioia di chi non sopporta le note vocali “alla-Tommaso-Paradiso” (quelle di dieci minuti). Ma anche gli assistenti virtuali, Amazon Alexa e Apple Siri in primis, che ci portano a interagire con i dispositivi hi-tech e i servizi web senza bisogno di alcun supporto fisico. Sono anni che i giganti tecnologici vanno verso questa direzione, e chissà se non arriveremo davvero a parlare con uno speaker con la stessa nonchalance con cui ci rivolgiamo a un’amica o a un collaboratore.

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I NUMERI

In area podcast – secondo i recenti dati Nielsen per una ricerca commissionata da Audible di Amazon – solo in Italia sono 13,9 i milioni di persone che nel 2020 hanno ascoltato almeno uno dei contenuti di questo tipo, con un incremento del 15% sull’anno precedente. Anche se le piattaforme, i modi d’uso e le finalità sono diversi tra loro, sembra esserci una traccia. Per questo, i più sembrano chiedersi se oltre all’immagine, regina indiscussa per anni dei social – era il 2016 quando Mark Zuckerberg sentenziò “Entro cinque anni Facebook sarà fatto di soli video” – il suono, nello specifico quello umano, stia assumendo un ruolo così fondamentale da cambiare i connotati del comparto. E lo fanno a ragion veduta, ora che Twitter ha accelerato l’uscita di Spaces, gli “Spazi” in cui si potranno attivare conversazioni in diretta tra utenti, funzioni scaricabili anche su Android. Non solo: The New York Times è entrato in collaborazione con Locker Room, un’altra app audio, particolarmente dedicata a tifosi e appassionati di sport, per creare contenuti audio dal vivo.

LO SCENARIO

A Menlo Park, invece, si studia un modo per sviluppare un prodotto proprietario che sia simile a ClubHouse. E ricordiamo tutti cosa succede quando Mark Zuckerberg fa sue le idee nate altrove: vedi le Stories, nate con Snapchat e i Reel, presi da TikTok. A proposito di Cina, anche lì sono all’opera per una propria versione della piattaforma delle stanze audio in diretta (l’originale è stata da poco bloccata in Oriente). Se si tratti o meno della solita corsa all’oro davanti a una novità – così fu per Merkaat e Periscope per i video in diretta, sempre prima che Facebook calasse l’asso – risponderà solo il tempo. «È un cambiamento enorme rispetto a come funzionano i social network: credo si apra un nuovo capitolo», ha detto Dave Morin, che in ClubHouse ha scommesso insieme ad altri importanti investitori della Silicon Valley. La creatura di Paul Davison e Rohan Seth, che non rilascia dati su base territoriale, ha però confermato i suoi 10 milioni di utenti attivi su base settimanale (a gennaio 2021 erano 2 milioni). Tutto questo, tenendo ancora l’accesso su invito riservato ai soli utenti iOS.

L’ANALISI

Secondo una stima dell’analista Vincenzo Cosenza, responsabile marketing di Buzzoole, gli utenti italiani dovrebbero orientarsi sui 330mila (aggiornamento a fine febbraio del 2021). Secondo il suo punto di vista, «i social basati solo sull’audio rimarranno di nicchia, mentre la funzione di comunicazione attraverso la voce sarà incorporata in altri social media». «La traiettoria evolutiva degli ambienti sociali che intravedo – aggiunge Cosenza – va verso esperienze più ricche e immersive. Penso a spazi di incontro più simili a Fortnite, Minecraft, Roblox o all’antesignano Second Life». Cautela anche dalle parti di Andrea Scotti Calderini, Ceo e Cofondatore di Freeda e Superfluid, media company che abitano l’ecosistema digitale. «Sarebbe arrogante avere un’idea predefinita – esordisce Scotti – L’industria dell’audio è in hype, con investimenti che Spotify, Apple e altri stanno facendo in termini di infrastrutture, diritti e talent e l’esplosione del podcasting». Aggiunge: «150 milioni di americani ne fanno uso su base mensile, ma d’altra parte è bene ricordare che aziende come Vox Media hanno raggiunto un fatturato a otto cifre solo l’anno scorso e che i modelli di monetizzazione sono in evoluzione, con tendenza verso abbonamenti e micropagamenti».

LA PROSPETTIVA

Un conto quindi è valutare il settore nel suo complesso, un altro pensare che ClubHouse possa plasmare tutto il resto. Anche perché di limiti ne ha. «Il grande problema dei social audio è proprio la mancanza di una tecnologia affidabile per individuare e bloccare tempestivamente discussioni problematiche – continua l’analista Vincenzo Cosenza – Le persone e soprattutto le aziende vogliono abitare (e investire) in ambienti sicuri e Clubhouse, al momento, non dà queste garanzie». Sulla lunga distanza, altre sfide attendono ClubHouse. Il tema della qualità dei contenuti (chi li sostiene?), della privacy e sicurezza (chi controlla?), così come della modalità di consumo. «Ci riporta a una fruizione lineare – dice Scotti – quando siamo sempre più orientati a un consumo “alla Netflix”, in base all’attenzione che possiamo dedicargli». Resta in ascolto che c’è un messaggio per te. Forse.

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