Energy station, così le case automobilistiche si ricaricano

Energy station, così le case automobilistiche si ricaricano
di Giorgio Ursicino
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 14 Luglio 2021, 12:29 - Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 23:35

Dopo la scossa, nulla sarà più come prima. L’auto ecologica ormai svetta nonostante sia solo la coda della volpe. Lunga e rigogliosa, ma necessariamente integrata in uno “scenario più vasto”. Eh sì, i costruttori sono stati reattivi e, in un batter d’occhio, hanno recuperato il colpevole ritardo nei veicoli ad inquinamento zero. Nell’atmosfera c’è la forte sensazione che la transizione energetica sia partita un po’ in ritardo. Poteva avviarsi prima, la tecnologia era pronta. È stata solo tenuta nel cassetto. Perché mettere mano ad un business che in qualche modo funzionava? Chi si accollava i rischi? Dove trovare le risorse per superare le difficoltà del cambiamento senza il consenso di tutti? Sia come sia, ormai questo è il passato. Oggi nessun “frenatore” scommetterebbe un centesimo su un colpo di coda degli idrocarburi. Una cosa è certa: nel nuovo scenario, il tassello più avanzato sono i veicoli, arrivati in poco tempo ad una maturità che non fa rimpiangere i “vecchi” con motore endotermico. Sul resto, c’è ancora molto da fare. L’auto zero emission è la soluzione, non c’è dubbio. Ma è un ecosistema complesso, con enormi margini di miglioramento. Basti pensare ai progressi che potranno fare le batterie, la riconversione degli impianti, la diffusione dei punti di ricarica considerata veramente nevralgica.

I COMPITI A CASA

Le case automobilistiche, nel frattempo, si sono portate avanti con i compiti a casa ed ora allargano i loro confini, pronte ad invadere anche i campi di competenza altrui. È uno stravolgimento di paradigma profondo. L’obiettivo non è solo quello di essere dalla parte del cliente e di affrontare la trasformazione da aziende di veicoli a imprese fornitrici di servizi di mobilità. Lo scopo è controllare il più possibile la catena del valore della nuova mobilità, dalle materie prime al riciclaggio. Su tutto c’è un valore, basta organizzarsi per estrarlo. Una chance che le grandi case di veicoli intendono sfruttare per riportare i loro margini stabilmente in doppia cifra. L’aspetto più urgente è sicuramente la rete di ricarica. Se non si trovano le colonnine, emerge l’ansia da autonomia. O meglio il “terrore” di rimanere inchiodati per strada. Senza energia. I distributori sono indispensabili, pena un significativo rallentamento della transizione energetica. Il pianeta e la società non possono permetterselo. Così i costruttori di auto sono particolarmente interessati all’argomento sul tappeto. E da tempo si dono messi in gioco consorziandosi, facendo joint venture fra loro e con produttori di elettricità o, addirittura, scendendo in trincea personalmente. Come sempre, quando si parla di auto elettrica, bisogna buttare un occhio alle mosse di Elon Musk. Oggettivamente Tesla è ancora avanti nonostante il vigoroso recupero dei costruttori tradizionali. Per questo gli investitori la premiano con una capitalizzazione che sfiora 700 miliardi, una cifra che è una meta inarrivabile per tutti i competitor automotive.

UN SISTEMA CHIUSO

L’inventore è partito da zero e non ha sbagliato un colpo. È stato lui ad inventare un ecosistema il più possibile chiuso che offrisse ai membri del club una serie di vantaggi decisivi. Un percorso già battuto da Apple, l’azienda che vale di più al mondo. V1, V2, V3, attualmente la rete del marchio della Silicon Valley punta alle colonnine ultrafast con capacità di ricarica a 250 kW, la stessa che hanno i ricaricatori ospitati sulle vetture del pregiato brand. L’autonomia può puntare a mille chilometri e con un’ora imbarcare 1.600 km di percorrenza o 120 km in 5 minuti. Attualmente le stazioni Supercharge di Tesla sono 2.500 con oltre 25.000 colonnine che consentono agli utenti di spostarsi ovunque. Oltre 6.000 sono in Europa, più di 400 in Italia. Anche per viaggiare l’unico interlocutore è chi ha costruito e venduto il veicolo. La grande, sorpresa, pero, è Electrify America, una società del Volkswagen Group guidata dal manager italiano Giovanni Palazzo.

La società, che presto estenderà il business anche in Canada, ha un piano decennale e può contare su un investimento di 2 miliardi, il più ingente fatto da una casa automobilistica per una rete di ricarica.

DISTRIBUTORI PER TUTTI

I “distributori” sono chiaramente per tutti, ma sicuramente è un bel modo di fidelizzare i clienti dei propri veicoli nell’era della nuova mobilità in un mercato tanto avanzato e importante. Gli Usa sono dietro alla Cina e all’Europa nel processo di elettrificazione, ma restano la prima economia del pianeta ed hanno tutto il tempo per recuperare. Ed a Detroit le Big Three hanno tutta l’intenzione di farlo guidando questa rivoluzione. L’idea di Electrify America è nata nel 2016, l’azienda fondata nel 2017 e la prima colonnina entrata in funzione nel 2018. Alla fine di quest’anno l’obiettivo dell’azienda è arrivare a 800 stazioni e 3.500 punti di ricarica ad alta potenza (da 50 kW fino a 350 kW). I principali “distributori” si trovano nei grandi centri commerciali e nelle catene presenti su tutto il territorio nazionale tipo Walmart. Recentemente hanno raggiunto un accordo con Electrify America l’Audi (del gruppo VW) e la Mercedes (la concorrenza) per far usufruire dei servizi dell’azienda di distruzione di energia ai clienti delle ammiraglie e-tron GT ed EQS in occasione del lancio. Dei 2 miliardi di investimenti previsti, 800 milioni verranno riservati alla California, lo stato più ricco e avanzato, gli altri al resto del Paese.

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