Expo Dubai, dalla cupola made in Italy ai padiglioni “muscolari” di Usa, India e Cina

Dubai, Expo, ultima frontiera. Sei anni dopo l’ultima grande Esposizione Universale, quella di Milano, ma potrebbero essere passati sei secoli. Nel mezzo, i due anni di pandemia, che hanno messo in ginocchio il nostro modo di vivere, di lavorare, di muoverci e di pensare. “Connecting Minds, Creating The Future”, questo è il titolo dell’Esposizione, quello su cui i 192 Paesi espositori (mai così tanti), sono stati chiamati a riflettere, a pensare, a confrontarsi e a proporre le loro visioni. Ma non è solo l’Expo del post-Covid, è anche l’Expo dei cambiamenti climatici, mai così presenti, della sfida mondiale della transizione ecologica, e, per i casi della vita, si svolge contemporaneamente alla Cop26, la conferenza dell’Onu che sta cercando di fermare i disastri innescati dall’agire umano negli ultimi decenni.

LA PACE

E chissà che questo non sia anche l’Expo della pace, di sicuro è quello della soft-diplomacy, che si snoda tra i padiglioni e gli eventi di questi sei mesi. Non a caso, è la prima kermesse di un Paese arabo in cui partecipa, con un padiglione molto bello e coinvolgente, Israele, a pochi metri dalla sede espositiva della Palestina. L’area dove sorge Expo sei anni fa era solo deserto, ma non è un modo di dire, lo era letteralmente. I piani di espansione urbana qui sono talmente rapidi che la città muta forme, larghezze e altezze, di continuo, come una creatura viva. Non manca di certo lo spazio, e non mancano di certo i soldi. Tre le porte di accesso all’Esposizione: Sustainability, Mobility e Opportunity, ognuna di loro ha un grande arco rettangolare, che viene aperto con una cerimonia differente ogni mattina, come la campanella di Wall Street, per capirci. Le porte vi fanno accedere alle aree tematiche (Sostenibilità, Mobilità e Opportunità), che poi si sovrappongono e si uniscono nella grande piazza centrale, Al Wasl, sovrastata dall’immensa cupola, vero e proprio occhio del ciclone creativo emiratino. Peraltro, la cupola, che sta all’Expo di Dubai come la Torre Eiffel stava a quello di Parigi del 1889, l’ha costruita un’azienda italiana. Così come c’è una mano italiana anche dietro lo spettacolare meccanismo ingegneristico che muove il padiglione-falco dei padroni di casa, ideato dall’archistar Calatrava. Ma qual è il futuro pensato e proposto dai Paesi del pianeta? Dipende. Dipende dai Paesi e dalle loro sensibilità. Ci sono sicuramente due costanti: lo spazio, inteso come il cosmo, e lo spazio virtuale delle nuove forme di comunicazione. È ripresa ufficialmente, ormai è sotto gli occhi di tutti, la corsa allo spazio, ma non quella dei miliardari Musk e Bezos, qui sono gli Stati a fare la voce grossa e a riprendersi la scena. Usa, India e Cina hanno padiglioni muscolari, in cui ognuno ci tiene a far vedere tutta la potenza della propria tecnologia. Un po’ freddi, e un po’ troppo anni ’80.

LA MENTE

Dall’altra parte della terra, down-under, Australia, Nuova Zelanda e Indonesia, partecipano alla gara, ma lo fanno con uno spirito diverso, ispirandosi allo sguardo dei loro antenati, e vedono «nelle stelle del passato, il cammino del futuro». Padiglioni più semplici, ma molto più caldi e coinvolgenti, dove osservato speciale è il rapporto dell’uomo con la natura. Ancora più stupefacente e originale la scelta di Russia e Kazakistan: la prima si concentra sulla macchina più complessa esistente nell’universo, il cervello umano! Forte delle sue ricerche in questo campo e della gloria dei suoi neuro-scienziati, ci conduce attraverso un viaggio affascinante dentro la nostra mente, strizzando l’occhio all’intelligenza artificiale, vero Sacro Graal dei futurologi. Il Kazakistan, in maniera altrettanto scenografica, ci invita invece a considerare la rete che ha unito tutta l’umanità e che ci ha permesso di prosperare e diffonderci sulla terra.

IL CODICE GENETICO

Non internet, come viene naturale pensare all’ingresso del padiglione, ma il nostro Dna. Il codice genetico, che, replicandosi generazione dopo generazione, ha trasferito l’alfabeto della vita nei quattro angoli del pianeta, “scrivendo” la nostra evoluzione, con una complessità che ancora ci sfugge e che, forse, dovrebbe attrarci più del Metaverso di Zuckerberg. E a concludere la visita uno stupendo balletto tra uomo e robot, che ci ricorda tanto quello di Roberto Bolle sulla Rai. Menzione speciale per l’Arabia Saudita, che ha un padiglione impressionante dal punto di vista tecnologico e narrativo, sarà sicuramente uno dei Paesi che influirà di più su quest’area del pianeta, nei prossimi decenni e dovremo capire come considerarlo, anche dal punto di vista culturale e artistico, oltre che politico. Scordatevi il cibo che era a ogni angolo di Expo 2015, qui ci sono schermi, led e piccoli robot che girano per le strade pulite e perfette del quartiere fieristico. C’è il robot poliziotto, che ti ferma e ti dice di tirare su la mascherina e poi c’è quello a forma di pesce, che ti insegue e fa divertire i bambini. La Francia ha un padiglione che da fuori fa molto Las Vegas, mentre la Spagna punta sugli scacchi e su dei giganteschi coni rossi visibili a distanza, la Svizzera vi fa scalare le sue montagne in mezzo alla nebbia (vera), mentre la Corea del Sud vi stupisce con una facciata mobile coloratissima. L’acqua, dell’attrazione Waterfall, vi serve invece quando il caldo supera la soglia critica.

LA BELLEZZA

E noi? Eccolo, Padiglione Italia: sostenibile, con materiali riciclati, pieno di eccellenze, che tutti i visitatori vogliono toccare e vedere. “Beauty connects People” è il titolo scelto per la nostra partecipazione, dove l’ispirazione per l’agire futuro deriva dalle nostre radici, dalla nostra cultura e dal nostro approccio: aperti, inclusivi, multilaterali. C’è la copia in 3D del David di Michelangelo, ci sono le alghe spiruline coltivate grazie all’anidride carbonica emessa dai clienti del ristorante del Padiglione (l’unico tre stelle di tutta Expo), ci sono mostre come Italia Geniale, appena inaugurata, che raccontano il design italiano e la sua importanza nell’immaginare lo spazio e l’agire pubblico degli ultimi decenni. E poi gli incontri, i dibattiti, i convegni, per riflettere ad esempio sul “dopo-expo”, sul post dei grandi eventi, con la lezione del grande successo di MIND, il Milano Innovation District, che sta attraendo mese dopo mese migliaia di persone e un valore aggiunto straordinario all’area che fu dell’Expo meneghino. A ulteriore riprova che, se gestiti bene, i grandi eventi sono un volano per il prima, per il durante, e soprattutto per il futuro. E mentre pensiamo alla candidatura di Expo Roma 2030, questo è sempre bene tenerlo a mente. Insomma, sotto i tre scafi capovolti, che disegnano nel cielo di Dubai un enorme tricolore, viene spontaneo pensare che, se gli altri riflettono sul “dove” del nostro futuro, Padiglione Italia, con tutte le sue attività e le sue proposte, portate avanti da uno staff straordinario, prova a rispondere alla domanda, ben più importante, del “perché”.

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