Il nuovo nucleare, Giuseppe Mazzitelli (Enea): «Non tornerà l'incubo di Chernobyl»

Giuseppe Mazzitelli, lei è il responsabile della Divisione tecnologie fusione nucleare di Frascati. Qual è la differenza con l’energia nucleare ottenuta per fissione?

«Quando si parla di nucleare, oggi mento a quello da fissione. Ma il nucleare da fusione è differente. Per sintetizzare: con la fissione abbiamo un nucleo di uranio che, catturando un neutrone, diventa instabile e si scinde in due o più prodotti di reazione. Nella fusione abbiamo due nuclei, due isotopi dell’idrogeno, il deuterio e il trizio. Se riusciamo a portarli a distanze nucleari avviene la reazione, ma siccome sono entrambi carichi positivamente, tendono a respingersi. Non è semplice: dobbiamo portarli tanto vicino da fare in modo che la forza nucleare domini su quella elettromagnetica, di repulsione. I due nuclei si fondono e come risultato abbiamo un nucleo di elio più un neutrone che utilizzeremo per la produzione dell’energia elettrica. Dobbiamo creare un plasma, una sorta di gas fatto di ioni e ed elettroni e riscaldarlo a 150 milioni di gradi».

Leggi anche:

Auto elettrica, la nuova mobilità parte dal pianale

Internet of things, la sfida Vodafone per ridurre le emissioni

Alessandro Gassmann: «Il mio impegno per l'ambiente, un atto d'amore»

Dove si trovano questi materiali?

«Il deuterio è nell’acqua e 500 litri sono sufficienti per il fabbisogno energetico di tutta la vita di un essere umano. Il trizio non esiste in natura, è un materiale radioattivo con un tempo di decadimento di 13 anni. Lo produciamo all’interno del reattore stesso. Il neutrone che abbiamo dalla reazione colpisce un nucleo di litio (il materiale che usiamo per le batterie). Il litio cattura il neutrone, si scinde e produce il trizio. Ciò che produciamo si esaurisce all’interno del reattore, non ci sono scorie da portare in giro. L’unica è il reattore stesso, che però resta confinato all’interno e in un periodo di tempo compreso tra i 50 e i 100 anni si può facilmente riutilizzare».

Ma se l’energia nucleare da fusione non produce scorie perché non l’abbiamo mai utilizzata?

«Per ora è applicata sulle stelle. Sulla terra purtroppo è stata applicata solo con la bomba H».

Così non ci rassicura.

«Come in tutte le cose, tutto dipende dall’uso che si fa. Ma ripeto: l’energia nucleare da fusione è molto sicura, un reattore non può esplodere, non può produrre un evento come a Chernobyl o a Fukujima. Nel caso della fusione io devo portare i due nuclei vicini e per farlo devo riscaldare il plasma a 150 milioni di gradi. Servono macchine grandi e sofisticate».

A che punto siamo?

«Siamo al decennio di svolta. Alla fine del 2025 entrerà in funzione nel sud della Francia ITER, la macchina che dovrà dimostrare la fattibilità tecnica scientifica della fusione. Nel 2030 dovrebbe iniziare la progettazione esecutiva di demo, nel 2040 entrerà in funzione e sarà attaccata alla rete, nel 2050 le prime centrali nucleari a fusione».

Lei ha 66 anni, cosa significa investire il suo tempo su un progetto che avrà una applicazione pratica tra 30 anni?

«Ho una negoziazione in atto con il mio medico… A parte gli scherzi, la ricerca è fonte di entusiasmo. E sto lavorando in Enea, insieme al Consorzio Dtt per realizzare una macchina, la Dtt, che sarà complementare a Iter, un progetto da 500 milioni di euro. Offrirà grandi opportunità a giovani ricercatori e ingegneri italiani. E un modo per lasciare un’eredità alle nuove generazioni». 

 © RIPRODUZIONE RISERVATA

Potrebbe interessarti anche

Ultimi articoli pubblicati