Luna Rossa, la tecnologia dei foil dall'America's cup al golfo di Napoli: le derive mobili nelle nuove barche a vela per tutti

Invece di fendere l’aria, sollevano dall’acqua. Sono i “foil”, ali che rivoluzionano il modo di navigare perché neutralizzano la resistenza dell’acqua, rendono più agevole la guida e abbattono consumi e inquinamento. Adottate nelle regate dell’America’s Cup, dove come nella Formula 1 la vera gara è quella ingaggiata tra ingegneri prima ancora che tra piloti, le ali pensate per le imbarcazioni non sono una novità assoluta. Le ha inventate un ingegnere italiano alla fine dell’800 sperimentandole sul lago di Como, poi alti e (soprattutto) bassi in giro per il mondo a causa di costi troppo elevati rispetto ai benefici. Oggi nuovi materiali, sensoristica e Ict possono invece trasformare la tecnologia foil da optional di lusso in dotazione mainstream, e a fare da scenario alla transizione verso natanti alati non saranno più le sponde del lago manzoniano. Sarà il golfo di Napoli.

IL PIANO

 Il progetto si chiama Tme – Processo Automatico per l’Implementazione di Tecnologie per la Mobilità Efficiente Navale. Nasce da un brevetto di Oreste Caputi, responsabile della Newtak Engineering («ma prima di tutto skipper», precisa) e la partnership tra Università di Napoli Parthenope, Opus Automazione, società specializzata in tecnologie elettroniche e di automazione, e Coastal Boat, azienda produttrice di gommoni di alta gamma. Avviato nello scorso novembre e finanziato dal ministero per lo Sviluppo economico per un valore complessivo di 3,5 milioni di euro, “Tme” terminerà alla fine del 2023, quando «i foil saranno finalmente alla portata di tutte le imbarcazioni», afferma Caputi. In effetti anche oggi è possibile applicare le ali a un’imbarcazione, solo che per ogni intervento occorre un progettista e un cantiere ad hoc: la modifica finirebbe cioè per costare molto più dell’imbarcazione. La sfida lanciata all’ombra del Vesuvio è quella di standardizzare questo processo. Si arriva in porto, una gru solleva l’imbarcazione su cui intervenire, la sistema su una piattaforma “intelligente” che ne misura il baricentro e le caratteristiche inerziali, memorizza ogni minimo dettaglio della carena, studia come reagisce al beccheggio delle onde, all’imbardata, al galleggiamento e calcola la potenza necessaria per raggiungere la propulsione richiesta dal cliente. Da qui si passa in una officina «altrettanto intelligente», dice l’ex skipper, dove grazie alla super diagnosi vengono realizzati i pezzi. Tutto in automatico.

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IL MECCANISMO

Poiché l’acqua è quasi 800 volte più densa dell’aria, anche ali piccole possono generare grande potenza nel sollevare la barca dall’acqua, dimezzando così la resistenza idrodinamica. «Se una barca ha due motori da 200 cavalli, attivando i foil può mantenere la stessa velocità con un solo motore». Le appendici sono retrattili e collegate a una centralina di comando che ne consente l’utilizzo solo quando le condizioni di navigazione sono ottimali. Per abbattere ulteriormente l’impatto ambientale il progetto prevede inoltre la ridefinizione dei tradizionali motori diesel utilizzati nel settore nautico con sistemi dual fuel, con carburante tradizionale-gas oppure ad alimentazione ibrida elettrica, in modo da arrivare a un consumo del 95% inferiore rispetto a quello attuale.

L’ANALISI

Ad analizzare le caratteristiche propulsive delle imbarcazioni saranno i ricercatori dell’Università Parthenope guidati da Giorgio Budillon, direttore del dipartimento di Scienze e Tecnologie dell’ateneo. «Metteremo a disposizione le nostre competenze – sottolinea Budillon – dall’ingegneria navale alle scienze meteo-oceanografiche. Ulteriori indagini saranno focalizzate sulle prestazioni idrodinamiche delle imbarcazioni in funzione delle condizioni meteomarine attese nel mar Mediterraneo al fine di ottimizzarne l’utilizzo». Le ali partenopee nasceranno cioè per adattarsi perfettamente al Mare Nostrum.

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