Robot, da infermieri ad agricoltori. Il Centro Studi Tim: «Il mercato globale raddoppierà in cinque anni»

Infermieri, netturbini, poliziotti. E ancora agricoltori, maggiordomi, fattorini o autisti. È finalmente l’ora dei robot. Dopo anni passati a ragionare, talvolta a fantasticare, sull’impatto che l’automazione avrebbe avuto sulla società, oggi i robot sono parte della nostra quotidianità. Non solo perché in grado di svolgere compiti relativamente semplici come lavare i pavimenti (si parla di robot di servizio domestico), ma soprattutto perché recitano un ruolo sempre più importante nel settore industriale e in diversi ambiti professionali. A livello tecnologico infatti, specie negli ultimi anni, sono stati compiuti passi da gigante che hanno permesso ad esempio di coniugare i più tradizionali robot umanoidi (come le braccia robotizzate, ormai utilizzate da anni) ad architetture cloud distribuite, all’edge computing o alla connettività 5G. Queste nuove caratteristiche, garantendo una elevata larghezza di banda e una maggiore interattività, permettono l’affermarsi di automi collaborativi controllati da remoto. In pratica si è appena aperta la strada ad una nuova generazione di robot, pronta a diventare parte integrante delle nostre vite. Peraltro una spinta decisiva è arrivata dalla trasformazione digitale delle imprese accelerata dalla pandemia: secondo un sondaggio di luglio 2020 condotto dai ricercatori dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona, dall’inizio della crisi sanitaria sono stati sperimentati oltre 195 diversi tipi di robot in ospedali, centri sanitari, aeroporti, edifici per uffici e altri spazi pubblici.

LA RICERCA

Al punto che secondo un report appena elaborato dai ricercatori del Centro Studi di Tim, si prevede non solo che la crisi del Covid-19 porterà all’aumento degli investimenti nei robot industriali ma che il mercato globale quasi raddoppierà nei prossimi cinque anni (dai 48,7 miliardi di dollari del 2019 ai 75,6 del 2024). E l’Italia non sarà affatto sullo sfondo. Basti pensare che già nel 2019 il mercato della robotica della Penisola, con 74 mila robot installati e oltre 11 mila robot venduti, è risultato al 6° posto nella classifica mondiale dopo Cina (140 mila), Giappone (50 mila), Stati Uniti (33 mila), Corea (28 mila) e Germania (20 mila). Non solo, secondo gli esperti di Tim, a livello di produzione, la filiera della robotica italiana conta ben 104 mila imprese, cresciute del 10% in cinque anni, con un totale di 429 mila addetti (+17% in cinque anni).

LE APPLICAZIONI

Ad evolvere però, al di là della tecnologia e delle competenze necessarie per svilupparla, è soprattutto la pervasività e la semplicità d’utilizzo dei robot. E così a prendersi la scena sono i cosiddetti “cobot”, gli automi collaborativi, capaci di imparare guardando gli umani che dimostrano compiti.

Ma anche le macchine che si occupano delle pulizie nelle nostre case spesso interagendo con gli assistenti vocali, o quelli entrati a diverso titolo nell’healthcare.

È il caso di Nao, l’androide della francese Aldebaran, che a breve debutterà nelle case per anziani giapponesi con la doppia funzione di fare compagnia agli ospiti (ad esempio è in grado di suonare il violino) e di monitorarne i parametri corporei. Ma le applicazioni sono già le più disparate. Si va dai robot a guida autonoma che hanno potenziato il settore logistico, muovendosi all’interno di fabbriche e magazzini, fino ai cosiddetti agrirobot (come droni che monitorano e analizzano i raccolti). Famoso è il cane robot, una macchina da difesa per la protezione di ambienti specifici (come impianti industriali): un cane da guardia sviluppato da Boston Dynamics, dotato di “zampe” molto agili e di ottima vista (anche in notturna).

Tutte operazioni che, ovviamente, fino ad oggi sono state affidate a persone. È dunque evidente che debba esserci una transizione, soprattutto legata al tema del lavoro. Tuttavia stando al World Economic Forum, entro il 2025, l’automazione permetterà di avere un incremento di posti di lavoro tale da assorbire tutti coloro che saranno sostituiti per favorire la divisione del lavoro tra esseri umani e robot. Tuttavia, come precisano anche gli esperti di Tim, si parla di due tipologie di lavoratori molto diversi dal punto di vista delle competenze. La sfida vera sarà dunque quella della riqualificazione della forza lavoro uscente e della formazione di quella entrante.

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