Twitter, il futuro è Blue e si paga: rivoluzione nei social

Twitter ha da poco lanciato “Blue”, la versione a pagamento del famoso social network. Il servizio è già attivo in Canada e Australia (3,49 e 4,49 dollari al mese, rispettivamente) e presto vedrà la luce anche in Europa. Blue integra alcune funzionalità aggiuntive rispetto alla versione base, che comunque continuerà ad essere disponibile per tutti. La novità più interessante è sicuramente l’“Undo Tweet”, che consente di modificare i tweet fino a trenta secondi dopo la pubblicazione. Abbiamo poi i “Bookmark Folders” per dividere i tweet salvati in categorie e il “Reader Mode” per snellire la lettura. Gli iscritti riceveranno anche delle icone personalizzabili e avranno accesso a un’assistenza clienti dedicata. Insomma, una serie di caratteristiche indirizzate ai puristi del social californiano, volte ad offrirgli quella che sulla carta sembra essere l’esperienza Twitter definitiva. Ma lo è veramente? Blue, contrariamente a quanto ci si aspettava, manterrà infatti le inserzioni pubblicitarie. «Twitter sta applicando una strategia che nel marketing si chiama “scrematura”», spiega Matteo De Angelis, docente di Marketing presso la Luiss Guido Carli. «Vogliono identificare la clientela premium, quegli utenti che non possono fare a meno di Twitter e che sono disposti ad accettare anche la pubblicità pur di avere quei servizi in più». Non è un mistero che il canale principale di introiti per i social siano proprio le inserzioni e, parallelamente, la vendita di alcuni dati alle aziende. Non parliamo di dati sensibili ma di una statistica aggregata – e anonima – di alcune nostre abitudini quali preferenze d’acquisto, interessi e orientamenti, che le aziende poi catalogano per capire a chi mostrare cosa e in quale momento: la famosa profilazione ai fini pubblicitari.

LE STATISTICHE

Twitter, ad esempio, vende l’accesso alla cronistoria dei tweet pubblicati, consentendo così alle aziende di analizzare statistiche precise relative al loro brand: quante volte è stato nominato nei tweet, in che contesto, da chi e perché. Facebook tiene una lista delle pagine a cui mettiamo “mi piace” e le usa per catalogarci in fasce d’utenza. Il colosso di Zuckerberg conta ormai 2,6 miliardi di utenti attivi in tutto il mondo e l’introito medio per utente nel primo quadrimestre del 2021 è stato di 9,27 dollari. Twitter ha 322 milioni di iscritti su scala globale e nel 2020 ha generato entrate per 3,7 miliardi di dollari, l’86% delle quali provenienti dalla pubblicità. C’è un motivo se i social media sono progettati per essere accattivanti ai limiti della dipendenza. «Quando crei un “engagement”», continua De Angelis, «cioè una forte dipendenza di alcuni utenti, puoi non solo alzargli il prezzo ma anche mantenere la pubblicità, tanto ormai li hai catturati». L’abbiamo sentito fino alla nausea: se non paghi per un prodotto, vuol dire che il prodotto sei tu. Ma cosa succede quando, com’è il caso di Blue, il prodotto non solo lo paghi ma i tuoi dati continuano ad essere esposti sul bancone della compravendita aziendale? Con l’introduzione del modello a pagamento, le aziende social stanno cavalcando una linea sottile. Il timore dei ceo è che, implementandolo troppo in fretta, si arriverebbe a un’estinzione di massa degli account, visto che proprio la gratuità ha reso i social un fenomeno globale. E allora ecco che entra in gioco il modello misto in stile Twitter, dove anche la versione premium poggia sulla pubblicità.

IL TEST

Un sogno per i leader della Silicon Valley, un potenziale incubo per gli utenti, di fatto un esperimento e forse una finestra sul futuro. «Twitter ha scelto di non allargare subito il servizio a tutto il mercato», afferma De Angelis. «Vogliono prima vedere quanti introiti arriveranno dalla sottoscrizione e quanti dalla pubblicità. Se l’esperimento dovesse funzionare», conclude, «la strada sarebbe spianata anche per gli altri. Ormai tutti viviamo sui social: se ce li togliessero, molti di noi non saprebbero più cosa fare». Quello di Blue non è un esperimento del tutto inedito ma è sicuramente unico nel suo genere. Già Youtube e Reddit offrono delle versioni a pagamento, ma le accomuna proprio il fatto di essere senza pubblicità. Il sentimento comune tra gli utenti sembra infatti essere quello di voler essere “lasciati in pace” dalle aziende. L’ha capito Apple, che con ios 14.5 ha da poco introdotto alcuni limiti al tracciamento: le nuove regole vincolano gli sviluppatori di app terze ad ottenere il consenso da parte degli utenti prima di poter raccogliere le loro informazioni. Il 96% dei possessori di iPhone negli States ha negato questo consenso. L’esperimento di Blue si pone perciò in controtendenza, e la paura è che si prospetti un futuro dei social dove saranno gli utenti a dover pagare per essere profilati. 

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