Dal frigo al pc, l'Unione europea lavora al diritto di riparare gli oggetti: un freno all'obsolescenza programmata

I modi per farli morire prima del tempo sono tanti: far sparire i pezzi di ricambio, tenere alti i prezzi dell’assistenza tecnica, proporre garanzie troppo brevi o anche soltanto indurre in tentazione il consumatore bombardandolo di modelli nuovi, più aggiornati, più belli. «Fino a pochi anni fa l’obsolescenza programmata sembrava uno dei soliti argomenti astrusi cari agli ecologisti, oggi ne discutono tutti. Perché c’è un fatto: alla gente non piace essere imbrogliata. E qui di imbroglio si tratta», sottolinea David Cormand. L’eurodeputato francese di Europe Ecologie è autore del rapporto «Per un mercato unico più durevole per imprese e consumatori», approvato la settimana scorsa dal Parlamento europeo. Lui vorrebbe fare di più, andare più veloce, condurre «una battaglia culturale» per cambiare le pratiche dei produttori e cambiare le mentalità. Le resistenze sono tante, i fabbricanti, il design, la pubblicità, ma il Right to repair va avanti. Entro fine anno i prodotti potrebbero avere, oltre all’etichetta del prezzo, anche quella che indica l’indice di riparabilità (più saranno facilmente riparabili, più avranno un voto alto) e un contatore, che come per le auto, indicherà quanto hanno funzionato, rendendo più facile, per esempio, il riciclo nel mercato di seconda mano.

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NUOVE NORME

I dati parlano chiaro: l’Europa è oggi il più grosso produttore di rifiuti elettrici e elettronici, mentre i sondaggi ci dicono che tre europei su quattro vorrebbero poter riparare il loro telefono, il tostapane o la tv e non liberarsene al primo guasto, a condizione di non dover pagare più del trenta per cento del prezzo di acquisto. «La Commissione sta per votare un rapporto sull’economia circolare e ha già approvato una road map che dovrebbe portare a nuove norme nel secondo semestre del 2021 per associare i consumatori a una transizione verso un mercato più ecologico». Basta telefonini cambiati ogni due anni, computer da buttare perché incompatibili con le nuove applicazioni, frigoriferi da mandare in discarica perché il pezzo di ricambio non si trova, o anche (ma per ora il tessile non è preso in considerazione dai lavori europei) vestiti spediti al macero alla prima chiusura lampo che salta. «Valutiamo che l’80 per cento del costo ambientale di un prodotto elettrico o elettronico, si sconta al momento della sua fabbricazione: in pratica è quando si costruisce che inquina di più, non quando si usa. Quindi più un prodotto dura, più l’impatto ambientale diminuisce», spiega Cormand.

L’obiettivo adesso è convincere i legislatori a passare dall’obsolescenza programmata a quella “prematura”: la differenza c’è, ed è importante. Nel primo caso spetta al consumatore dimostrare che il prodotto acquistato doveva vivere più a lungo, la nozione di obsolescenza prematura, invece, fa gravare sul fabbricante l’onere della prova: a lui dimostrare di aver lavorato «secondo regola d’arte» e fatto in modo che il suo prodotto vivesse la sua vita fino in fondo. «Una tv può durare tranquillamente 15 anni – spiega Cormand – e non è giusto che la garanzia la copra soltanto per due anni. Un’altra misura da adottare è infatti l’adeguamento della durata della garanzia sulla durata di vita del prodotto». Per Cormand, se l’Europa farà sue le prime misure anti-obsolescenza (anche programmata, se non prematura) «la forza d’urto sul mercato sarà enorme», con due grandi vantaggi, «per il consumatore, che avrà prodotti più robusti, e per l’economia europea, che svilupperà standard di produzione di migliore qualità, con vantaggi perfino per la concorrenza, cosa che dovrebbe far piacere anche ai conservatori e agli apostoli del libero mercato». Altro dato positivo: se la produzione, in particolare di dispositivi tecnologici, può essere delocalizzata, «rigorosamente local, e preferibilmente a chilometro zero, è invece l’attività di riparazione e di assistenza tecnica».

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