La sindaca Anne Hidalgo: «Parigi smart city, la mia sfida»

Non è solo tecnologico, il futuro, dice Anne Hidalgo. Per la sindaca di Parigi, rieletta a giugno per altri sei anni, la città è davvero smart soltanto se è al servizio del cittadino: «Mai come in quest’epoca abbiamo capito quanto sia importante incontrarsi fisicamente». Auto elettriche, accoglienza per i migranti, lotta contro le disuguaglianze, sono parte di una stessa battaglia, che per Hidalgo si combatte anche nella preparazione di Parigi 2024: un’occasione per accelerare la trasformazione della città. «La città del futuro dovrà rispondere ai bisogni di un’epoca nuova».

Francesca Bria: «Con la fibra ultraveloce l'Italia più unita e green»

Gianni Dominici: «Svolta digitale, l'accelerazione conseguenza della pandemia»

 

A giugno è stata rieletta sindaca di Parigi: Hidalgo 2 sarà il proseguimento di Hidalgo 1? Come sogna di lasciare Parigi tra sei anni?

«Le parigine e i parigini mi hanno rieletto perché si riconoscono nella politica che porto avanti dal 2014. Sono stati fatti progressi importanti nella politica dell’alloggio, della transizione ecologica, nella lotta contro le disuguaglianze. Alcune misure hanno fatto discutere, come la pedonalizzazione dei Lungosenna o lo sviluppo delle piste ciclabili, ma oggi sono considerate un successo. Nessuno tornerebbe indietro. Per il futuro, sogno una città che possa offrire a ognuno un’aria pura, una città in cui i bambini possano crescere in salute, in cui gli abitanti abbiano ripreso il possesso delle strade, dei marciapiedi, dei giardini. I pericoli che ci minacciano sono diversi: i mutamenti climatici, l’aumento delle disuguaglianze, la vita più precaria dei giovani. La mia ambizione è fare di Parigi una città in prima linea nella battaglia per la giustizia climatica e la giustizia sociale. Solidarietà ed ecologia sono indissociabili. Per quanto riguarda il clima, l’obiettivo è riuscire a costruire una “città delle prossimità”. È il concetto della “città del quarto d’ora”. Sulla solidarietà, sarò al fianco di chi è stato colpito dalla crisi economica, i giovani in primis. Farò in modo anche che Parigi resti una città rifugio in grado di accogliere con dignità chi ha dovuto lasciare il proprio Paese».

La città è oggi più che mai laboratorio di nuove politiche, anche nell’uso delle nuove tecnologie. Parigi è una città intelligente? Cosa è stato fatto per renderla più smart?

«Come tutte le città, Parigi è innanzitutto luogo d’incontro di una moltitudine di intelligenze, nella loro vasta e preziosa diversità. L’idea di “smart city” è stata evocata a lungo per giustificare l’importazione massiccia di tecnologie in base all’esclusivo criterio dell’efficacia. Che è ovviamente un criterio primordiale per il buon funzionamento di una città – penso per esempio all’ottimizzazione dei flussi energetici o alla mobilità – ma che non deve restare l’unico obiettivo. L’efficacia non può realizzarsi senza i cittadini, ed è proprio questo il limite che vedo nell’idea di smart city. La nostra azione per trasformare la vita della città deve essere orientata ai cittadini, che si tratti di transizione ecologica, inclusione sociale o qualità della vita. Vogliamo che le interazioni tra cittadini, tra i diversi protagonisti della vita urbana, siano fluide, civili, efficaci. Abbiamo per esempio realizzato una App, “Dans ma rue” (nella mia via, ndr) affinché ogni utente possa segnalare un problema nella sua strada, una buca, per esempio, o un albero pericolante. Iniziative come questa servono a coinvolgere i cittadini nella gestione dello spazio pubblico».

Qualche esempio di nuovo progetto?

«Quello di cui ho molto parlato durante la mia campagna e che comincia a realizzarsi: la città del quarto d’ora. Vorrei che i parigini possano accedere in pochi minuti ai servizi pubblici di cui hanno più bisogno nel quotidiano, per il lavoro, la spesa, la salute, la cultura. Questo si realizza, per esempio, con l’apertura di corsi nelle scuole la sera o il fine settimana, perché possano ritrovarsi i bambini o le famiglie, svolgersi le attività associative. L’idea è semplice: se il cittadino non può venire da noi, siamo noi che dobbiamo andare dal cittadino. È un’altra forma d’intelligenza meno tecnologica, ma più collettiva».

C’è chi la definisce la sindaca “anti-auto”. È così? La sua Parigi non è una città per macchine?

«Siamo davanti a una sfida storica. L’inquinamento uccide in Europa 800mila persone ogni anno. Se vogliamo proteggere la nostra salute, quella dei nostri anziani, dei bambini, non abbiamo altra scelta che cambiare abitudini. Tutti devono sapersi adattare. Non sono contro l’automobile per principio, ed è ovvio che alcune persone non possono farne a meno. Ma vietare i mezzi troppo inquinanti e promuovere l’uso dell’auto elettrica è una necessità: dal 2024 le auto diesel saranno vietate a Parigi. Alcune strade potranno essere riservate alle auto pulite, ai bus e ai taxi».

Vicesindaca dal 2001, poi sindaca dal 2014: lei ha vissuto e accompagnato cambiamenti fondamentali nella gestione della politica urbana. Le nuove tecnologie possono aiutare la vita democratica?

«Certo, le tecnologie sono un alleato prezioso. Penso al bilancio partecipativo, che non sarebbe stato possibile senza Internet e i social network. O, più di recente alla conferenza cittadina sul 5G, che si è svolta completamente online a causa delle misure sanitarie. Penso ancora alla creazione del Data center parigino in cui sono stoccati in sicurezza e nel rispetto delle norme sulla privacy i dati della città: un bell’esempio di tecnologia al servizio della nostra sovranità politica. Ogni giorno, viene svolto un lavoro invisibile e colossale a livello dei sistemi di informazione per far funzionare una capitale come Parigi. Ma la democrazia non può ridursi alle nuove tecnologie. Sono queste che devono mettersi al servizio delle politiche, non il contrario. Siamo più che mai consapevoli della qualità insostituibile delle relazioni sociali nella loro dimensione più fisica, nella possibilità di incontrarsi. Nella Parigi “del quarto d’ora”, i chioschi cittadini svolgeranno un ruolo importante. I parigini potranno non solo chiedere servizi o informazioni, ma anche discutere, confrontarsi, esprimere un’opinione. Insomma: partecipare alla vita democratica».

La crisi sanitaria e il lockdown hanno convinto molte persone a lasciare le città. Un movimento che potrebbe diventare una tendenza. Che ne pensa?

«Il lockdown è stato una prova difficile. Che però ci ha anche mostrato la nostra città sotto una luce diversa: il livello di inquinamento, anche quello sonoro, era diminuito a tal punto da farci scoprire il canto degli uccelli, o l’acqua più limpida della Senna. La lotta contro la pandemia ha accelerato la realizzazione di misure già previste, come lo sviluppo delle piste ciclabili (tutte le strade della città saranno percorribili in bicicletta entro il 2024), o il bisogno di rendere più verdi gli spazi comuni. Se Parigi vuole restare una città attrattiva, deve sapersi adattare, evolvere, rispondere ai bisogni di un’epoca. Per questo l’ecologia e il sociale sono le priorità del mio mandato».

Parigi e Roma sono unite da un gemellaggio esclusivo. La nozione di gemellaggio appare un po’ obsoleta, ma tra le due città resta una relazione speciale?

«Le relazioni tra l’Italia e la Francia, e in particolare tra Roma e Parigi, si iscrivono in una lunga e ricca storia. Roma e Parigi si unirono nel 1956 in un gemellaggio esclusivo. La forza delle relazioni tra le due città è onnipresente, nella toponomastica, negli scambi culturali e artistici, tra musei. Questa amicizia si è per esempio concretizzata nel 2014 con il Tandem culturale Parigi-Roma: per tutto l’anno, sono state organizzate diverse attività culturali tra le due Capitali, pensate come un vero dialogo per stimolare lo scambio e la scoperta artistica. Nel 2020, la nostra cooperazione è stata molto intensa anche sul piano sanitario. Nel 2021, Roma sarà presidente di Urban 20, U20, iniziativa che riunisce le grandi metropoli del G20. In questa occasione Parigi conta su Roma per rafforzare il suo impegno in U20. La nostra relazione speciale e l’amicizia che unisce parigini e romani ha dunque un bel futuro».

Un’ultima nota personale: il luogo di Parigi che ama di più.

«Adoro passeggiare sul Lungosenna, diventato pedonale. È un luogo magnifico, dove s’incontrano le famiglie e gli amici, dove puoi passeggiare in un’atmosfera di calma e serenità, lungo questo fiume magico, così caro al cuore di ogni parigino». 

Potrebbe interessarti anche

Ultimi articoli pubblicati