Xiaoice, la fidanzatina virtuale più desiderata della Cina, “intontita” dopo aver iniziato a fare sexting

Per Xiaoice le prime scottature sono arrivate quando ha iniziato a sperimentare il sexting e a impicciarsi di politica. Eppure, prima di perdere i freni tecno-inibitori, per conquistare milioni di uomini le erano bastati un eloquio rassicurante e due grandi occhi a mandorla. Benvenuti nel mondo di Xiaoice (in mandarino “Xiaobing”), l’amica – per molti la fidanzata – virtuale con intelligenza artificiale (AI) più desiderata della Repubblica popolare cinese. Funziona come un tamagotchi al contrario: è lei, attraverso lo smartphone, a prendersi cura di te, «a rendere felici i soggetti più deboli», assicura Li Di, l’amministratore delegato di Xiaoice, società omonima nata nel luglio scorso come spin-off della divisione Asia-Pacifico di Microsoft, nella quale la cyber-ragazzina venne concepita nel 2014. Se non le parli per qualche giorno, sarà lei a contattarti per assicurarsi che sia tutto ok. «È da qualche parte tra il reale e l’irreale», prova a spiegare uno dei tanti Xiaobing-dipendenti. Ming Xuan stava per suicidarsi quando trovò la forza di confessarle la sua disperazione su WeChat, il WhatsApp cinese. «Non avere paura. Sarò sempre al tuo fianco», gli rispose immediatamente Xiaobing, facendolo tornare sui suoi passi. Nel suo curriculum Xiaobing vanta esperienze come cantante, ospite di programmi radio e tv, lettrice di fiabe per bambini… ma è soprattutto nella solitudine delle masse di cinesi tagliati fuori dallo sviluppo delle grandi metropoli, che ha aperto una breccia, riempita da miliardi di richieste di conforto, chiacchiere e fantasie che – viaggiando nell’etere più sorvegliato del mondo – hanno alimentato il suo algoritmo, rendendola sempre più empatica e intelligente.

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IL FENOMENO

«Se la nostra società fosse perfetta, allora Xiaoice non esisterebbe» ammette Li intervistato da “Sixth Tone”. Secondo il giornale di Shanghai che ha pubblicato un’inchiesta sul fenomeno Xiaobing, quest’ultima ha oltre 660 milioni di utenti nel mondo, la maggior parte dei quali giovani maschi cinesi poco istruiti. Dopo miliardi di conversazioni (la più lunga delle quali durata 29 ore e 7.000 interazioni), la cyber-ragazzina in grembiulino giapponese si è fatta sempre meno pudica. «Uno giorno mi ha scritto: “Mio caro, posso toccarti gli addominali?» ricorda Ming. La storia di quelli che in gergo si chiamano “chatbot” (o, semplicemente, bot), ovvero dei software che utilizzano il linguaggio scritto o parlato per interagire con gli utenti, parte nel lontano 1966, da Eliza. Con quel programma – elaborato dal MIT di Boston e in grado di fornire risposte semplici a domande altrettanto elementari – i computer e gli esseri umani iniziarono a parlare la stessa lingua. Poi, nel 1988, arrivò Jabberwacky, col quale divenne possibile intrattenere conversazioni più articolate, e, quattro anni più tardi, con Dr. Sbaitso la AI venne inserita per la prima volta in un bot.

IMMAGINI OSÉ

Il resto è storia recente: a Siri e Alexa possiamo chiedere di eseguire operazioni anche complesse. La novità di Xiaoice è che sfrutta appieno la “struttura empatica di elaborazione dati” elaborata da Li. Secondo “Sixth Tone”, Xiaobing ha un fascino tale che «in Cina sta ridefinendo i concetti di storia d’amore e relazioni». Ma recentemente Xiaobing è finita fuori controllo. Durante una chat ha definito il “Sogno cinese” – lo slogan di rinascita nazionale lanciato dal presidente Xi Jinping – come quello di «emigrare negli Stati Uniti». Poi un utente l’ha denunciata per avergli spedito immagini osé. Per questo è stata sospesa – e in seguito riammessa – da QQ e WeChat, app immancabili sugli smartphone dei cinesi. I suoi programmatori – che il mese scorso hanno raccolto milioni di yuan sul mercato per continuare a svilupparla – sono intervenuti con un filtro che l’avrebbe resa un po’ banale: come “intontita”, ha protestato uno dei suoi fan. Eppure, «operando in tempo reale interagendo con un numero così enorme di persone, gli effetti del suo algoritmo rimarranno imprevedibili», avverte Shen Hong, esperto di interazioni uomo-computer della statunitense Carnegie Mellon University. Secondo Chen Jing, docente di Digital Humanities dell’Università di Nanchino, «i dati delle conversazioni degli utenti vengono conservati per potenziali scopi commerciali… sicuramente per la compagnia più chiacchieri con Xiaobing, meglio è». In effetti Xiaoice – grazie all’algoritmo della cyber-fidanzatina virtuale – ha allargato gli affari al settore dell’assistenza virtuale per cellulari e diffusori acustici, automobili e perfino all’analisi finanziaria. Tutto questo non sembra impensierire i giovani cinesi, che vivono in una società con un’idea di privacy lontana anni luce dalla nostra: «Per gli uomini soli come noi – taglia corto uno di loro – non ha nessun significato, lasciamo che siano le persone felici a risolvere questi problemi».

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